Dal corriere della sera (Vivimilano)
Opera prima All’Anteo la pellicola di Paolo Franchi
Scelta da De Niro
Anteprima di «La spettatrice», in Festival a New York
La trilogia del nuovo cinema italiano, che in questi mesi ha visto l’affermazione di molti autori più o meno giovani, da Garrone a Castellitto, da Ferrario a Rubini, da Martone a Sorrentino, si chiude con l’opera prima di un dotato cineasta dallo stile antonioniano, Paolo Franchi, autore già di un ottimo corto visto a Venezia. Con «La spettatrice», in anteprima per i lettori di Vivimilano giovedì 29 all’Anteo (sala 400), scelto e voluto da Robert De Niro come unico titolo italiano al suo prossimo Tribeca Film Festival di New York, il regista fa un passo molto in avanti e firma un film personale, sensibile e in assoluta controtendenza, anzi forse è un film poco italiano, nel senso che è privo di ogni stereotipo nostrano. E difatti ecco la lunga odissea produttiva e poi una stesura di sceneggiatura durata due anni con la tedesca Heidrun Schleef: rispetto al cinema contemporaneo fatto di rumori e trucchi, è proprio un’altra cosa, una vicenda dove contano i silenzi e tutto l’inespresso che ci portiamo dentro nelle faccende di cuore. Qui si parla di sentimenti e gli effetti speciali sono tutti interiori o dovuti alla felicità espressiva con cui il giovane autore usa la cinepresa, entra nella psicologia, guida dolcemente i suoi attori nella sicurezza che siamo tutti e tutti i giorni alle prese con un mix di amore e disamore che rende precario e difficile il nostro bilancio affettivo: il mio film, specifica l’autore, non è d’amore, ma su una esperienza d’amore con un grande plus valore di solitudine. La spettatrice del titolo è Valeria, la brava Barbora Bobulova lanciata da Bellocchio, ed è lei che sta alla finestra della vita, il massimo comun divisore di una storia invisibile a tre in cui ciascuno, l’amante che insegue un sogno e quello che lo vive e lo scambia e lo intuisce, è infelice la sua parte: ciascuno ha paura di scegliere, ma insegue una lunga illusione. Un film molto romantico, con un bravissimo attore di teatro come Andrea Renzi nel ruolo di oscuro oggetto del desiderio, nato per Franchi dalla visione di certo cinema che ama, come quello classico francese, e di certi libri, oltre che da quel poco di esperienza diretta che ogni cineasta si tiene nel cilindro di prestigiatore. E che gli permette di costruire un film a freddo sulla carta ma poi molto coinvolgente se letto nel verso giusto, entrando sotto la superficie ed evitando alcuni facili intellettualismi: come si diceva viene in mente per primo Antonioni, nella misura razionale dei sentimenti e pure la sua ben nota poetica dell’incomunicabilità che oggi sembra fuori moda ma non è.
Maurizio Porro
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